Foto Attika Architekten / Bart van Hoek via theverge.com
Le emozioni contano. Forse per noi essere viventi del genere umano così ricchi di potere immaginativo le emozioni sono veramente il sale della terra e connettono empaticamente tutto il nostro sistema sensoriale a livello percettivo. Poi, le strategie relazionali, che per gli architetti si traducono in una sapiente prossemica spaziale, contribuiscono altrettanto a delineare scelte, azioni e comportamenti di questo animale sociale complesso che è l’essere umano.
L’idea del simbolo grafico (nella versione di faccine da tastiera) è degli anni Ottanta del secolo scorso mentre la versione emoji, che richiama una stilizzazione tipica degli internauti giapponesi, è più recente.
Comunicare un’emozione attraverso un’icona è l’idea; e il successo di questi ingredienti extra-verbali risiede proprio nella semplicità di utilizzo all’interno del dialogo sintetico per sms o su WhatsApp. A volte la stringa di faccine produce un vero proprio rebus che solo i destinatari possono decodificare in rapporto all’intimità, alla confidenza (e a volte anche all’illegalità, visto che con le emoticon si è trovato anche il modo di spacciare droga) che condividono.
Ma le emozioni avrebbero bisogno di altro spazio. E lo spazio è sicuramente quello del linguaggio verbale, scritto ma anche architettonico ed urbano. Le interazioni di semeiotica, infatti, non sono poche tra i diversi percorsi della conoscenza nell’universo del discorso. Se la sintetica formula degli emoticon funziona, al punto di vederla inserita dall’architetto Changiz Tehrani come moderni gargoyle in stampi di calcestruzzo nelle fasce marcapiano di un edificio commerciale (nell’immagine) recentemente terminato a Amersfoort in Olanda, è anche vero che dietro l’approccio decorativo si nasconde dell’altro.
Fonte: www.architetti.com